Oddio! C’è la crisi!
| buttato dentro il 14 Gennaio 2009 | alle ore 11:36 | da Alessandro Mano | nelle categorie economia, giornalismo, musica | parlando di gioiosi argomenti quali ad esempio 1994, africa, auto, banche, bolla speculativa, crack finanziario, crisi, euro, fiducia, frankie hi-nrg, gas russo, islam, israele, lavoro, liquidita, natale, negrita, ottimismo, palestina, pmi, radio, rifondazione comunista, sfiducia, silvio berlusconi, sinistra, sistema produttivo, stampa, tasse, wall street, youtube | se hai qualcosa da dire leggi il commento e aggiungine un altro » |Apprendo dal giornale del mattino che i Negrita hanno scritto un pezzo sulla crisi che spopola in radio. Rammaricato, sia per il fatto che i Negrita si siano molto rammolliti rispetto ai tempi d’oro – e un po’ mi spiace – sia per il fatto che ancora una volta la crisi venga sbandierata ai quattro venti, mi sono andato a leggere il testo della canzone, e ho guardato il video su youtube.
Ritmi e testi africaneggianti, Radio Conga (“in onda dal centro della jungla“) non so come possa spopolare, ma tant’è. Dice pure “l’Africa nera è solo a quattro passi da qui“, assieme ad una serie di qualunquismi che-se-il-testo-lo-avesse-scritto-Frankie-Hi-NRG-tutti-a-bastonarlo…
Al di là del pezzo in sé, si può cogliere il fatto che ormai questa crisi economica, che da noi per il momento è arrivata solo in parte, faccia parlare di sé perché fa figo: è bello dare la colpa a qualcuno quando non puoi tagliare le tasse, è bello avere un nemico che non sia l’integralismo islamico, non sia Israele e/o Palestina, non sia gas russo.
Sulla crisi, sto dalla parte di Berlusconi.
Sì, insomma… Credo che ci voglia ottimismo, penso che senza i media catastrofisti il 2009 sarebbe stato duro, ma non quanto è stato duro il 2008 (in cui l’economia è stata sostanzialmente ferma, come succede da anni, ma tutti pensiamo che il PIL sia calato del 5% o più).
Serve ottimismo non nell’accezione berlusconiana del “tanto le cose andranno a posto da sole“: serve ottimismo perché quella che viviamo non è la crisi derivante dai crack finanziari statunitensi e dalla bolla speculativa di Wall Street. Quella che viviamo in questi mesi è l’ultimo capitolo di un declino endemico del sistema produttivo italiano, fatto di piccole aziende, di rigidità, di un sistema creditizio inefficiente e di uno Stato (e di una politica, soprattutto) troppo tentacolare.
Escludendo la crisi dell’auto, che somma inefficienza italiana a inefficienza di quel particolare mercato, ancora troppo spezzettato, e che ha portato a massiccia cassa integrazione per i lavoratori del settore e dell’indotto, e a licenziamenti che mettono in ginocchio centinaia di famiglie, la crisi attuale non si è vista.
Dovuta a carenze di liquidità nel sistema (banalizzando molto: chi ha chiesto soldi a prestito non li ha restituiti, le banche non si fidano più a prestarne e gli investimenti dei privati si bloccano) la crisi finanziaria da noi si può dire che non sia ancora arrivata, se non marginalmente. La crisi attuale, se escludiamo come detto l’auto, che è trainante per una parte del Paese, è semplicemente una “crisi indotta dalla stampa“: i soldi li ho, ma ho paura a spenderli. Sfiducia galoppante. Sono dipendente statale, mi prendo i miei bei 1400 euro al mese, ho la casa di proprietà, ma a Natale ho risparmiato sui regali, sul cappone e sul bombardino perché “c’è crisi“.
In questo senso, Berlusconi ha fatto bene ad invitare a spendere. Non serve, in questo momento, risparmiare di più: serve spendere, per ridare un minimo di liquidità e di fiducia al sistema produttivo.
Ciò in cui sbaglia il governo, e spesso in questo è supportato dalla sinistra (soprattutto da quella extraparlamentare, che al premier è tanto ostile) è il voler intervenire di più nell’economia privata, senza toccare la spesa pubblica: lacci e lacciuoli, nuova regolamentazione, prestiti alle banche, ma senza intervenire sugli ammortizzatori sociali.
La cassa integrazione è un istituto fantastico, per certi versi: permette di guadagnare (poco) senza lavorare, per cercare un nuovo lavoro. Il vero problema è che il mercato del lavoro è fortemente inefficiente: non si trova lavoro, soprattutto se si hanno superato gli ‘anta, e gli ammortizzatori sociali sono limitati nel tempo e alle sole grandi aziende. I sussidi di disoccupazione, o il famoso “salario minimo garantito” che Rifondazione tira fuori ad ogni elezione, sono quasi inesistenti.
Dove sarebbe dovuto intervenire lo Stato? In tre settori chiave:
1) Banche.
Garantendo la liquidità al sistema bancario, senza salvare istituti, ma fornendo prestiti, che nel lungo termine e a determinate condizioni possono diventare addirittura redditizi per la collettività.
2) Lavoro.
Riformando il mercato del lavoro, con la tutela del lavoratore e non del posto di lavoro. Sembra una boutade, ma l’aiuto pubblico (e del sindacato) è a chi ha o aveva un posto di lavoro, non ad un lavoratore che il lavoro lo ha perso o lo sta cercando.
3) Spesa pubblica. Aumentando la spesa pubblica in funzione anticiclica: l’economia, lo dicono fior di studiosi da anni, è come un’altalena. Va su e giù, su e giù. A ritmi variabili. E l’intervento pubblico è importante per frenare la corsa (e l’inflazione) quando l’economia va su, ed è fondamentale per ridare fiato all’economia quando va giù. E’ il momento giusto per tagliare le tasse, in altre parole. Con decisione, non soltanto di qualche punto. E’ il cavallo di battaglia del centro-destra dal lontano 1994. Ma non si farà, per timore. Per timore della crisi.
In fondo, lo stesso governo è il primo ad avere paura: e senza avere fiducia nei mercati, anziché fare il bene di tutti, non fa il bene di nessuno. Lo stesso timore che ci fa credere di essere tutti più poveri: è da quando sono nato che sento parlare di crisi economica, ma la gente non si è mai abituata.
Bravo. Fai il “tecnico”. I tecnici salveranno questo Paese.