Courchevel – 12/07/2005

| buttato dentro il 13 Luglio 2005 | alle ore 12:28 | da | nelle categorie sport, storie di vita vissuta | parlando di gioiosi argomenti quali ad esempio , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | se hai qualcosa da dire scrivilo qui » |

Dalla Vallée alla Tarantaise

E anche quest’anno, con decisione maturata già dalle prime avvisaglie di una tappa savoiarda, “vicino” a casa, e poi confermata dalla presentazione della Grande Boucle a novembre, siamo stati sulle strade della corsa francese.
Questa volta, finalmente, per pedalarci, oltre a vedere (per pochi secondi) i mostri del vélo.
Mon ami Matteo prende il largo direttamente da Aosta in sella, di buon mattino.
Io parto in “ammiraglia” qualche ora dopo. Nella Valdigne, dove svetta maestoso il Monte Bianco, i ciclisti sono numerosissimi. Come nel più antico cliché del ciclista, un pedalatore si volta per guardare una pulzella alla fermata dell’autobus e, tagliando la propria corsia, ci manca poco che finisca sotto le mie ruote… A Pré-Saint-Didier la cosa di fa seria.
Vecchietti con “muntan baic” da supermercato affrontano il mitico (e facile) colle, una comitiva di tedeschi che gira l’Europa dei grandi colli non poteva farsi mancare il PSB.
L’ammiraglia fa sosta a La Thuile, per comprare la rosea (mai soldi furono più gettati alle ortiche: l’unica cosa per cui ci serviva, i dorsali dei corridori, non c’erano…) Poi, sorpassando una buona cinquantina di “colleghi” raggiungo anche Matteo, che si intrattiene, in un mix di italiano, tedesco, francese e inglese, con un gigante tedesco che va persino più forte di lui. Il Colle è ormai vicino, e dopo una “sosta tecnica”, iniziamo la discesa verso Bourg-Saint-Maurice.
La discesa è una di quelle toste. Bisogna pedalare e rilanciare in continuazione per fare velocità e la regolarità dei tornanti, dopo La Rosière, è impressionante. Mai uno strappetto, mai un restringimento: solo il paesaggio attorno si fa meno eroico e l’alta montagna lascia spazio a boschi, pascoli e finalmente alla cittadina di Bourg. Nella quale il Tour farà uno “sprint bonification” per la maglia verde su un simpatico strappetto che attraversa il centro della città.
Matteo trova il treno giusto e, restando attaccato a fatica in pianura ma staccando i due colossi che lo accompagnano in salita, giunge a Moutiers senza danni apparenti.

L’incontro con Radja

Dovevamo vederci a Moutiers, ci siamo poi visti a Salins-les-Thermes… poco importa. Sta di fatto però che abbiamo vagato come anime in pena perché non sapevamo dove incontrarci… Radja e la sua amica Anna sono [CUT] e [CUT] purtroppo [CUT] mi ha detto [CUT] il numero di cellulare [CUT]*. Mi ha fatto piacere incontrarle.

La salita

Da Moutiers, la strada inizia leggerissimamente a salire. Dopo Salins-les-Thermes, inizia un falsopiano intervallato da due discese, poi la salita si fa più decisa. A La Perrière la salita si fa più decisa, sempre regolare e mai con pendenze degne di nota. Poco dopo, un gendarme a braccia incrociate ferma tutti i ciclisti che tentano di salire. Non ci resta che appiedarci, spingere, e camminando come meglio ci riesce, girare l’angolo e risalire in sella. Ma, dopo 200-250 metri un altro gendarme, e un altro ancora. Così, appena fuori dal paese, ci fermiamo con disappunto (io) e un po’ di sollievo (Matteo, 20 chilometri di salita sotto il sole dopo averne già fatti 120 non sarebbero il massimo).
La carovana ci decapita più volte, lanciando oggetti ad altezza uomo.
Rischio di perdere un occhio, Matteo rischia di perdere altre zone del corpo più intime. Alla fine anche questo pericolo è scampato. Un po’ di paccottiglia di aziende francesi sconosciute la porteremo a casa anche quest’anno…

I pro’

Auto “la course est à cinq minutes”. Auto. Auto. Moto. Moto. Moto. Auto. Gendarmeria. Auto. Auto. Moto. Fotografi. Ammiraglie. Moto. Avanti così per una buona mezz’ora, alla faccia dei cinque minuti. Tutte queste moine della corsa che sta arrivando servono solo per impedire al pubblico di pisciare senza problemi, perché la corsa potrebbe arrivare da un momento all’altro…
Quando si avvicinano gli elicotteri capiamo che forse è davvero la volta buona. Tra una selva di moto e auto al seguito passano Pereiro e Jaschke, che quasi mi travolge. Poi Brochard, staccato e al gancio. Un simpatico elicottero a bassissima quota spazza la strada e tutte le cianfrusaglie della carovana. È un vero pericolo per i corridori… Bah…
Poi passano sgranati altri membri della fuga iniziale, poco dopo a doppia velocità i Discovery che tirano il gruppo.
Poi gli staccati, tra i primi si riconoscono Caucchioli, tra gli ultimi Frigo.
Mauro Facci sale con evidente fatica.

Gli scatto una foto, mi guarda, mi dice: “Ehy, quanto manca?”
Io: “20 chilometri”
Facci: (sonoro) “PORCA TROIA!!”
Poi Dekker, che anticipa di pochi secondi il gruppettò, aperto sulla strada e a cui del distacco non può fregar di meno.

Morale della favola

È andata anche quest’anno. Poteva decisamente andare meglio se fossimo riusciti ad incontrare le ragazze un po’ prima e fare la salita finale in tranquillità, senza che nessuno ci fermasse. Dopotutto è stata una bella giornata. È il nostro 4° Tour consecutivo vinto, altro che Lance…

* la ragazza è molto riservata. Parlare di lei in rete è vietatissimo


Il piccolo principe

| buttato dentro il 16 Aprile 2004 | alle ore 13:31 | da | nelle categorie domande, psico | parlando di gioiosi argomenti quali ad esempio , , , , , , , , , | se hai qualcosa da dire scrivilo qui » |

Non ho mai capito perché uno dei primi libri che si fanno leggere a mamme e piccini è questo capolavoro di psicologia e filosofia di cui un bambino non può capire niente e una mamma media nemmeno. O al limite può diventare irrimediabilmente apprensiva.
Forse perché è un libro a disegni. Forse perché un qualunque bambino ricorderà a vita che un cappello in realtà potrebbe essere un serpente con un elefante dentro. Forse perché la volpe che vuole essere addomesticata è un buon motivo per inculcare la superiorità dell’uomo sugli animali. Forse perché il Piccolo Principe viene dallo spazio.
O forse, ancora meglio, è il libro ideale per essere soggetto del tipico tema di italiano: “Un libro che hai letto in passato e che hai riletto recentemente: quali differenti sensazioni ha provocato in te” e cose simili.
Sta di fatto che io l’ho riletto veramente più e più volte, addirittura in patois (il dialetto valdostano) ed ogni volta conserva, come un buon disco, lo stesso fascino immutato.


La mia città

| buttato dentro il 24 Febbraio 2004 | alle ore 17:08 | da | nelle categorie aosta, musica | parlando di gioiosi argomenti quali ad esempio , , , , , , , , , | se hai qualcosa da dire scrivilo qui » |

La mia piccola e vecchia città…
Piccola città eterna, direbbe il vecchio Luciano da Correggio.
Piccola città di merda invece è quello che si sente dire da stuoli di ragazzini spocchiosi che il sabato sera escono di casa credendosi padroni del mondo ma padroni, per citare ancora Ligabue, di un posto che tanto di giorno non c’è.
Forse ho già superato l’età in cui ci si lamenta di tutto credendo più verde l’erba del vicino, o forse mi sono sempre saputo accontentare al meglio di ciò che mi propinava la Vallée. Sta di fatto che non mi sarei schiodato da qui nemmeno a cannonate, e sentire certi commenti mi ha sempre lasciato perplesso.
Certo, una cittadina come Aosta, con 30.000 abitanti 30.000, non fornisce le alternative di svago che offrono città più grandi e meno provinciali (soprattutto come mentalità), ma è da veri idioti lamentarsi invece di godersi quel poco che c’è.
Le alternative sono poche: pochi locali, pochi luoghi di ritrovo per giovani, e dopo un po’ la stessa minestra stanca. Ma anche se venisse proposta la più grande iniziativa del mondo, la riposta sarebbe piatta o quasi nulla, data l’abitudine ad accantonare tutto perché è il solito brodo riscaldato.
Sabato sera, ho assisitito al Centro Anita, con i miei fidi amici che apprezzano il rock, ad un concerto dei milanesi Strivol, giovane band ska (che non è assolutamente il mio genere e che anzi poco tollero): il pubblico era formato da pochi elementi (si contavano 50 persone, forse vedendoci doppio…), pochi si muovevano seguendo i suoni che i 6 o 7 elementi diffondevano. La neve, caduta abbondante in pomeriggio, e soprattutto la routine (all’Anita c’erano state le selezioni regionali per Arezzo Wave con 4 sabati di pienone) avevano tenuto tutti lontani dal concerto se non addirittura a casa.
Quindi si penserebbe subito ad un fiasco: invece no. La band, che interagiva molto con il pubblico (e con un elemento fra tutti, una persona “particolare” e quasi folkloristica) si è divertita a suonare per un pubblico vivo e che reagiva ai loro stimoli.
Si sono stupiti di questo fatto, che dicono peculiare delle piccole città («a Milano non avrebbe ballato né tantomeno applaudito nessuno»).
Possibile? Passare più tempo a lamentarsi ed ad invidiare le altre realtà piuttosto che costruire effettivamente qualcosa? Era sufficiente la presenza. Ma da queste parti si è già talmente prevenuti per l’insuccesso di una serata che non ci si sforza nemmeno di uscire di casa.
Questa è la mia città. Scusate se la amo, scusate se spesso non capisco chi la abita.